COME STANNO AGRICOLTURA E AGROALIMENTARE AD UN ANNO DAL PRIMO LOCKDOWN?
Ad un anno di distanza dal primo lockdown il comparto agricolo ed agroalimentare ha tenuto e il virus ha avuto un impatto tutto sommato contenuto. L’Istat prevede per l’Italia una marcata contrazione del Pil nel 2020, con un -8,8%, mentre il settore agricolo dovrebbe chiudere l’anno con un -3,3% del valore della produzione.
Secondo una indagine Nomisma le vendite alimentari al dettaglio sarebbero addirittura cresciute, segnando un +3,7%. Buone notizie anche per l’export, che ha raggiunto un +1,3% (+1,7 secondo l’Istat). Ottime performance se si pensa che la Francia è arretrata di quasi 4 punti percentuali e la Germania di 1,2 punti.
La situazione cambia se si analizzano i singoli comparti. Se il settore della pasta, delle conserve e della frutta e verdura fresca hanno sostanzialmente tenuto, altre filiere hanno subito il colpo della chiusura del canale Horeca come florovivaismo, zootecnia, acquacoltura e vitivinicolo. La ricettività agricola ha subìto un salasso pari a 1,2 miliardi di euro, senza contare le perdite sulle vendite dirette (dati Agriturist). Anche il settore florovivaistico è stato duramente colpito dall’emergenza Covid-19, con il comparto dei fiori recisi che ha vsito mandare al macero circa il 60% delle produzioni. Solo in Italia il danno della filiera è stato stimato in 1,7 miliardi.
L’Api, l’organizzazione di Confagricoltura che riunisce oltre il 90% delle imprese ittiche italiane dedite all’acquacoltura, denuncia un calo del 20% del fatturato, pari a 100 milioni su un valore complessivo di mezzo miliardo. La zootecnia invece ha avuto performance differenti, male il comparto carne, penalizzato dalla chiusura del canale Horeca (che assorbe i tagli più pregiati), bene l’avicolo e il lattiero caseario.
Tra i macro settori, in base alle indagini elaborate da Nielsen e Assobio, nel corso del 2020 gli acquisti dei prodotti biologici sono cresciuti del 7% sul 2019, per un valore complessivo superiore ai 4,3 miliardi totali.
Crescono gli investimenti nel mondo
La pandemia da Covid-19 ha messo al centro del dibattito pubblico non solo la sanità, ma anche il cibo e mai come oggi si è sentita la necessità di assicurare una supply chain efficiente e sostenibile.
Secondo l’ultimo report pubblicato da Agfunder nel 2020 si dovrebbe raggiungere la cifra di 30 miliardi di dollari investiti in realtà innovative lungo la filiera alimentare, from farm to fork.
Se in passato era stato il food delivery ad attrarre i maggiori investimenti, oggi si è tornati a guardare a chi il cibo lo produce, con una crescita degli investimenti del 68% anno su anno. Guardando nel dettaglio ai vari settori vediamo che il 20% delle risorse complessive è stato drenato da aziende che operano nel campo della tracciabilità e della logistica, mentre il 9% lo hanno assorbito aziende che operano nei ‘cibi innovativi‘, come i nuovi ingredienti, le proteine vegetali e la “cultured meat”. Più giù, troviamo le aziende che sviluppano mezzi tecnici di origine biologica, operano con le biotecnologie o nel breeding (6% degli investimenti).
Seguono poi le coltivazioni indoor (5%), i marketplace dedicati agli agricoltori (4%), strumenti digitali per l’agricoltura (3%), le bioenergie e i biomateriali (3%) e infine la meccanica, che comprende anche la robotica, ferma all’1%.
Le nuove sfide per l’Italia
La sfida per l’Italia è crescere nelle produzioni agricole e nell’export di prodotti trasformati. L’Italia nonostante sia un grande paese esportatore è altrettanto esposto sulla bilancia commerciale visto che importiamo tutto tranne che vino, carne di pollo e frutta. Per questo occorre investire nella produttività delle nostre aziende agricole, per creare una più solida filiera italiana.
Allo stesso modo occorre investire nelle nostre imprese di trasformazione in quanto il nostro è un tessuto fatto di piccole imprese, che devono crescere per affermarsi e non essere preda degli appetiti di società estere.